Il giusto pH tissutale favorisce la nostra salute

Il pH (Pondus Hydrogenii) è l’unità di misura del grado di acidità/alcalinità di una sostanza. La scala va da 0 a 14. Da 0 a 7 la sostanza è acida, da 7 a 14 essa è alcalina (o basica). Il valore 7 rappresenta la neutralità.

Pochi si occupano e si preoccupano del delicatissimo meccanismo di mantenimento del giusto pH all’interno del nostro organismo, mentre è una delle sue attività prioritarie, tanto che, per mantenerlo nel giusto intervallo, è disposto a mettere in secondo piano la salute di organi e apparati.

Il sangue di un individuo in ottima salute ha sempre un pH di 7.4 (leggermente alcalino), mentre il pH medio dei vari tessuti (più che altro dei liquidi presenti fra le cellule) oscilla con i ritmi circadiani (cioè giorno-notte) fra una tendenza verso l’acido al mattino e una più alcalina nella sera, mantenendosi comunque strettamente vicino alla neutralità (che è pH 7).

L’organismo è dotato di un sofisticato sistema tampone il cui scopo è il mantenimento del pH leggermente alcalino, necessario al corretto svolgimento del metabolismo. Gli stati di malattia (da una semplice infiammazione dovuta ad una contusione, al diabete ad una banale influenza) tendono ad alterare il pH tissutale costringendo l’organismo a grandi sforzi per riportarlo al giusto valore.

I fattori che aumentano l’acidità in un organismo in salute sono:

1)     il normale ricambio cellulare;
2)     gli alimenti acidificanti;
3)     alimentazione eccessiva;
4)     stress fisico, emotivo e psicologico;
5)     sedentarietà (per la minore ossigenazione dei tessuti).

E’ ormai assodato che l’invecchiamento si associa ad una costante perdita di composti alcalini. Questo porta ad un aumento di fenomeni di iperacidosi locali e conseguenti fenomeni di infiammazione e condizioni favorevoli alla degenerazione dei tessuti e allo sviluppo di cellule cancerose.

Sembra infatti che le cellule cancerose riescano a svilupparsi solo in ambiente acido, mentre un ambiente alcalino ne limita o ne impedisce la proliferazione.

Questo non vuol dire che l’acidosi provochi il cancro, né che un pH più alcalino lo curi, ma semplicemente che, in presenza di condizioni cancerogene (inquinamento chimico, radiazioni ionizzanti, stress ossidativi, predisposizioni genetiche, ecc.), l’organismo ha una difesa molto più debole se tende all’acidosi, e una difesa più efficace se è giustamente alcalino.

Un altro effetto più subdolo di un eccesso di acidità è dovuto al fatto che l’organismo, per contrastarla, deve mettere in circolo composti alcalinizzanti. Gli elementi chimici che ha a disposizione sono principalmente i bicarbonati e i minerali di calcio, potassio, sodio e magnesio con i loro composti. Se non ci sono in circolo abbastanza composti alcalinizzanti, l’organismo, in emergenza, li mobilita dai tessuti, prelevando, ad esempio, il calcio presente nelle ossa (la maggior riserva di minerali che abbiamo) e nei denti, causando, a lungo andare, osteoporosi.

Il problema è che possiamo andare avanti per anni a erodere le nostre ossa prima di accorgerci della nostra acidosi. Perciò, dobbiamo stare molto attenti alla nostra alimentazione perché gli alimenti possono modificare il nostro livello di acidità. Infatti, mentre formaggi, salumi, carne, zuccheri e cereali raffinati e alcol acidificano l’organismo, frutta, verdura e cereali, freschi ed integrali, sono alimenti alcalinizzanti.

Per rifornire le nostre riserve alcaline, in modo che siano in grado di contrastare l’acidità, occorre seguire la regola dell’80/20, cioè alimentarsi per l’80% di cibi alcalinizzanti e per il 20% di cibi acidificanti.

ph tissutale