Carne, pesce ed uova sono alimenti ricchi di:
- proteine ad alto valore biologico (massimo intorno al 20%);
- minerali (ferro, zinco, sodio, fosforo, rame);
- vitamine del gruppo B (specialmente nelle frattaglie).
Contengono anche grassi saturi (specie le carni rosse), basi puriniche e colesterolo (specialmente nelle frattaglie e, ancor di più, nelle cervella).
Sono relativamente povere di carboidrati (a parte quelle di cavallo ed il fegato).

In linea generale, va osservato che il nostro apparato digerente (considerando soprattutto il tipo di dentatura, il grado di acidità gastrica e la relativa lunghezza del canale gastrointestinale) non è adatto ad un’alimentazione eccessivamente rivolta alle carni, così come purtroppo oggi accade.
Rispetto agli animali, il contenuto gastrico è meno efficiente nell’attacco alle proteine (specialmente nei soggetti anziani) e, quindi, si corre il rischio, specie in concomitanza di scarsità di fibre, di un’eccessiva permanenza del bolo nel lume intestinale con possibilità di putrefazioni intestinali (intossinazione) e di sovraccarico epatico.
Un eccesso di carne nell’alimentazione ha diversi effetti negativi. Il contenuto in quantità elevata di grassi saturi ne fa uno dei principali responsabili dell’insorgenza di malattie cardiovascolari e di problematiche legate al metabolismo del colesterolo.
La carne ha un contenuto altissimo di fosforo in rapporto al calcio; poiché essi competono per i siti di assorbimento, un’alimentazione ricca di carne predispone all’osteoporosi e ai problemi di crescita ossea.
A causa del suo metabolismo acido e della presenza di acido arachidonico, la carne incrementa notevolmente i processi infiammatori, sia acuti che cronici.
Infine, è necessario tenere presente che gli antibiotici somministrati agli animali sono parzialmente trattenuti nei loro tessuti adiposi, mentre gli ormoni che sono loro somministrati per accelerarne la crescita, si legano al loro tessuto muscolare.
Perciò, un eccessivo consumo di carne ci espone anche alle conseguenze prodotte da questi antibiotici e ormoni.
Le carni sono considerate, in linea di massima, abbastanza digeribili (resterebbe indigerito circa un 5% della frazione organica), specie le carni bianche o, comunque, più povere di grassi e di tessuto connettivo.
Fra le carni bovine, il manzo (animale di 3-4 anni di età) è quello col tenore più alto di grassi (10-12 %) ma anche il più povero di acqua.
Poiché il fegato, nella frazione grassa, può accumulare inquinanti tossici è preferibile il consumo di quello ottenuto da animali giovani.
Le carni suine forniscono proteine di buona qualità, ricche di amminoacidi ramificati e sono, di norma, particolarmente ricche di tiamina e, soprattutto, di riboflavina (ma il tenore è piuttosto variabile), oltre che di ferro e zinco.
I suini allevati industrialmente hanno oggi, rispetto al passato, ridotto molto la quota di grasso, tuttavia nei prodotti insaccati si può arrivare, da una media del 30-35%, al 45% ed oltre (salami e wurstel).
Il migliore, in quanto a livelli minimi di grasso, è il prosciutto di Parma.
Nei salumi cotti insaccati il livello di connettivo può arrivare al 30% circa, per cui la digeribilità è un po’ più bassa rispetto a quella per gli altri salumi.
Grazie anche ai miglioramenti produttivi, la composizione approssimativa della frazione grassa degli insaccati comprende oggi una maggioranza di grassi monoinsaturi (circa 45 %, soprattutto acido oleico), seguita dalla frazione satura (circa il 33%, soprattutto acidi palmitico e stearico) e, infine, da quella polinsatura (circa il 15%). Il colesterolo si aggira intorno ad 84 mg per 100 grammi, quantità non molto distante da quella presente in altre carni.
Riguardo agli additivi, negli insaccati c’è il problema di nitrati e nitriti, potenzialmente cancerogeni (formazione di N-nitrosammine a livello gastrico), oltre che riducenti (rischio metaemoglobinemia nei neonati e nei bambini piccoli) e vasodilatatori.
Nei salumi crudi, vi è il problema dell’eccesso di cloruro di sodio, controindicato nei problemi d’ipertensione e, sembra, coimplicato nella genesi del carcinoma gastrico.
L’abbacchio è una carne ovina dall’elevato contenuto in grasso (specialmente a livello del petto e delle costolette: circa il 37%) e dal più basso apporto proteico (preferire l’agnellone che sembra più digeribile, oltre che un po’ meno grasso).
La carne di cavallo è tra le più povere di grasso (circa il 2%) ed è ricca di glicogeno (circa il 2%).
Tra le carni bianche, la gallina e, soprattutto, l’oca sono le carni più grasse, anche se la distribuzione del grasso, soprattutto a livello cutaneo, ne consente una più facile eliminazione (il muscolo ha meno grasssi invisibili rispetto alle carni rosse). Va anche rilevato che l’adipe del pollame ha, comunque, una più significativa frazione di grassi insaturi rispetto al sego bovino.
Il pollame è particolarmente ricco di vitamine del gruppo B e, soprattutto, di niacina; inoltre, contrariamente ad un pregiudizio diffuso, il contenuto in ferro non è inferiore a quello delle carni bovine.
Riguardo all’apporto proteico, il pollame offre un elevato contenuto in aminoacidi importanti per l’accrescimento, come quelli ramificati e la lisina (carente nei cereali). Buona anche la presenza, in forma altamente biodisponibile, di altri minerali utili come zinco, rame e selenio.
Le carni di tacchino e di faraona sono anch’esse molto magre, purché spellate (grasso massimo 3%).
Tutto il pollame ha carni mediamente più tenere delle rosse (più indicate in bambini ed anziani) per un minore contenuto in collagene e una minore lunghezza delle fibre muscolari.
Le carni avicole sono particolarmente apprezzate dagli atleti, anche se non esiste una prova certa circa gli effetti di un incremento dell’apporto proteico sulle masse muscolari.
La selvaggina può essere molto povera di grassi, ma avere un elevato livello di proteine e di purine (sconsigliate ai gottosi ed iperuricemici, analogamente alle frattaglie).
L’uovo contiene intorno al 12% di proteine di altissimo valore biologico, vitamine (A e gruppo B), minerali (calcio, zolfo, fosforo), grassi (circa 8%) e colesterolo.
L’albume è un po’ più ricco di proteine rispetto al tuorlo che contiene la quasi totalità delle sostanze grasse, la vitamina A, le vitamine B1, B2, B6, l’acido pantotenico, le vitamine B12, E, D, biotina e acido folico. Il tuorlo dell’uovo crudo, inoltre, è una fonte di fosforo.
Il colesterolo rappresenta il 5% (circa 200 mg/uovo). E’ sicuramente un quantitativo elevato: basti pensare che il fabbisogno quotidiano è stimato in 300 mg e che basterebbero, quindi, due uova per sforare questo limite. Va detto, comunque, che l’elevato contenuto in lecitine favorisce il trasporto inverso del colesterolo (dalle arterie al fegato) potenziando l’attività delle HDL (il cosiddetto colesterolo buono). Le lecitine, che permettono un ottimo emulsionamento dei lipidi, favoriscono anche le performance cerebrali ed i processi digestivi dell’alimento: due uova alla coque lasciano lo stomaco in due ore, contro le tre necessarie per una porzione di carne.
Il tuorlo è ricco di acidi grassi insaturi che contrastano il potere aterogeno (capacità di innescare il processo di aterosclerosi) del colesterolo.
Regolando l’alimentazione della gallina è possibile aumentare ulteriormente la concentrazione di questi nutrienti essenziali; in particolare, inserendo nella dieta della gallina olio di pesce e di mais, si determina un aumento della concentrazione di omega sei (acido linoleico), mentre aggiungendo olio di pesce e di lino, l’uovo si arricchisce di omega tre (EPA e DHA che sono acidi grassi importantissimi perché contrastano lo sviluppo delle malattie cardiovascolari ed infiammatorie, potenziando il sistema immunitario). Parallelamente, “mantenendo a dieta le galline”, diminuisce la quantità di acido arachidonico nelle uova che è la molecola di partenza per la sintesi di molte sostanze ad azione proinfiammatoria.
Etichettatura
Categoria A: uova fresche
Categoria B: uova di seconda qualità o conservate in frigorifero
Categoria C: uova declassate destinate all’industria alimentare
I pesci (compresi molluschi e crostacei) possiedono, analogamente alle carni (sia sul piano qualitativo che quantitativo), proteine di alto valore biologico, ma contengono più sali minerali (rame, iodio e fluoro, anche se può essere inquinato da metalli pesanti, come il mercurio) e grassi di migliore qualità di tipo insaturo (omega-3), in quantità variabili dal 5 al 10-15%. Hanno, infine, una quota più elevata di vitamine A e D.
Nei pesci, gli omega-3 sono presenti all’interno della frazione fosfolipidica, protetti da antiossidanti naturali e in rapporto bilanciato, con una minore tendenza alle perossidazioni e ad una più facile digeribilità intestinale rispetto ad integratori a base di omega-3.
Gli effetti cardiovascolari del pesce (in buona parte colleralabili al contenuto di omega3) sono clinicamente apprezzati, mentre gli effetti sul colesterolo si evidenziano, in modo netto, solo per l’assunzione di elevate quantità giornaliere di pesce (20–30% dell’introito calorico complessivo).
Anche se non sono completamente esplorati gli effetti trofici degli acidi grassi a livello del sistema nervoso, viene consigliato un supplemento di omega-3 (e di pesce grasso) alle gestanti ed alle madri durante l’allattamento perché importanti studi hanno evidenziato un incremento della crescita dell’encefalo del feto a partire dal sesto mese e fino a 3 mesi dopo la nascita che migliora l’efficienza intellettiva del bambino e la circonferenza del cranio.
Altri studi in doppio cieco hanno mostrato come, grazie agli omega3, possano migliorare anche i sintomi aggressivi e depressivi di pazienti con disordini della personalità borderline di grado moderatamente severo, mentre altre ricerche promettenti si occupano di altre malattie mentali (es.: schizofrenia).
L’assunzione di pesce, accompagnata dagli antiossidanti naturali presenti nell’alimento, potrebbe contrastare l’accumulo di granuli di lipofuscina a livello encefallico nella sindrome demenziale senile e favorire l’attività dei neuroni negli anziani.
Sul piano pratico, la presenza degli acidi poliinsaturi nel pesce rende questo alimento, però, piuttosto delicato riguardo alla conservazione ed ai processi di cottura.
Attualmente le carni rosse hanno il primato delle vendite (più della metà delle proteine animali consumate).
Sono in ottima risalita, ma ancora troppo poco apprezzate, le carni bianche (pollame, coniglio) e le suine, mentre buono, ma non ancora ottimale, il consumo di pesce.
Le carni andrebbero assunte al massimo a giorni alterni, scegliendo preferibilmente quelle bianche (pollame e coniglio) e sgrassate per minimizzare i rischi cardiovascolari e degenerativi.
Le uova possono esser consumate nella misura di 2-3 a settimana, purché non ci siano gravi problemi di ipercolesterolemia.
Il pesce, per la sua maggiore digeribilità e ricchezza in grassi nobili ed oligoelementi (iodio), andrebbe assunto con una frequenza almeno pari se non maggiore a quella delle carni, specie nei soggetti con problemi o predisposizione a problemi cardiovascolari.
Gli insaccati vanno assunti in modo saltuario, tenendo presente che sono ricchi di grassi saturi e di sodio. Inoltre, è preferibile scegliere i tipi magri (prosciutto sgrassato).