Una volta appurata la presenza di una o più intolleranza alimentare, si può agire secondo due strade alternative tra loro:
1) dieta a eliminazione
Prevede l’eliminazione dell’alimento in questione per un periodo che varia da 3 mesi a 6 mesi, a seconda del grado di intolleranza, per poi reintrodurlo gradatamente, ponendo particolare attenzione alle eventuali reazioni (esempio, emicrania) nelle 72 ore successive. Se si verificheranno sintomi che possono indurre a pensare che l’intolleranza non sia stata superata, si dovrà proseguire senza mangiare quell’alimento per un altro periodo (per esempio, un mese) per poi ritentare la sua introduzione che dovrà, comunque, esser sempre graduale.
Lo scopo di questo metodo è il recupero della tolleranza del cibo eliminato da parte del sistema immunitario, attraverso una sorta di perdita di abitudine al “contatto” con l’alimento in questione.
2) dieta a rotazione
Prevede la libera assunzione dell’alimento verso il quale è stata individuata l’intolleranza, secondo un meccanismo che alterna l’assunzione un giorno, seguita dall’astinenza per tre giorni.
Personalmente, sono un po’ perplessa rispetto a questo metodo perché, continuando ad assumere l’alimento verso cui si è sviluppata l’intolleranza, le cellule del sistema immunitario preposte al mantenimento della memoria dell’antigene (la macromolecola dell’alimento che ha causato l’intolleranza) continueranno a segnalare l’aggressione e ad agire di conseguenza, non essendo sufficienti 72 ore per far perdere loro la memoria.
Tuttavia, quale che sia il metodo scelto, non si otterrà un completo recupero dell’intolleranza se non si agirà sulle cause che l’hanno scatenata.
Infine, il recupero di un’intolleranza deve necessariamente passare attraverso tre interventi, attuati contemporaneamente:
1) ripristinare l’integrità della mucosa intestinale
Un’intolleranza alimentare si innesca quando la mucosa intestinale diventa eccessivamente permeabile, lasciando passare nel sistema sanguigno e linfatico macromolecole degli alimenti non ancora digeriti completamente che, come tali, non essendo riconosciute dal sistema immunitario, verranno eliminate come antigeni. Quindi, un intervendo assolutamente necessario è il ripristino dell’integrità della mucosa intestinale, attraverso l’assunzione di rimedi erboristici consigliati da un fitoterapista qualificato.
2) ottimizzare il terreno intestinale
Ripristinare la mucosa intestinale sarebbe un’impresa ardua, se non impossibile se non si agisse sulle condizioni ambientali all’interno dell’intestino, cioè sul terreno. Questo vuol dire intervenire con l’assunzione di probiotici efficaci (lattobacilli e bifidobatteri) per contrastare, da un lato, la proliferazione dei microrganismi patogeni (batteri, miceti…) responsabili delle lesioni alla parete dell’intestino, dall’altro, per ripristinare la corretta eubiosi intestinale, cioè la fisiologica flora batterica normalmente presente nell’intestino.
3) favorire il drenaggio delle tossine
Questo intervento si rende necessario perché, in presenza di un’intolleranza alimentare, gli organi deputati allo smaltimento degli scarti metabolici, in particolare il fegato e i reni, oltre al proprio lavoro derivante dalla routine quotidiana, devono accollarsi un superlavoro dovuto all’eliminazione delle tossine, causate dall’intolleranza alimentare. Anche in questo caso, la fitoterapia offre un’ampia possibilità di rimedi naturali, come ad esempio, il carciofo e il cardio mariano per sostenere l’efficienza epatica.