Glucidi, che cosa sono e a cosa servono

I glucidi (dal greco “glucos” = dolce) sono la principale fonte di energia dell’organismo. Sono chiamati anche carboidrati.

Rappresentano una vasta classe di molecole biologiche presenti ovunque e sono le principali riserve energetiche di molti esseri viventi fungendo da combustibile, oltre a costituire molti componenti strutturali delle cellule viventi. I carboidrati comprendono le sostanze comunemente chiamate zuccheri e amidi e rappresentano la fonte primaria di energia necessaria ad ogni cellula del nostro corpo. Sono composti da zuccheri semplici o da zuccheri complessi che sono legati fra loro per formare catene di varia lunghezza.

Vi sono tre tipi di carboidrati classificati a seconda del numero di molecole di zucchero che contengono:

  • monosaccaridi (zuccheri semplici), è un carboidrato formato da una molecola di zucchero (come il glucosio, il fruttosio, il galattosio); si trovano nella frutta e nel miele;
  • disaccaridi (zuccheri doppi), è un carboidrato formato da due molecole di zucchero unite da un legame covalente (come glucosio + glucosio = maltosio; glucosio + fruttosio = saccarosio; glucosio + galattosio = lattosio); si trovano nel latte e nei suoi derivati, nella barbabietola e nella canna da zucchero;
  • polisaccaridi (zuccheri complessi), costituiti da molti monosaccaridi uniti chimicamente per formare catene lineari o ramificate. Comprendono gli oligosaccaridi che sono formati da 2 a 10 molecole di zuccheri, le destrine che sono composte da centinaia di oligosaccaridi e i carboidrati complessi che sono formati da migliaia di oligosaccaridi (come gli amidi, la cellulosa, il glicogeno); si trovano nei cereali, nei legumi, nei tuberi, nella frutta, nella carne, nel pesce, nelle foglie e nei gambi dei vegetali.

I carboidrati forniscono al nostro organismo 4 calorie per grammo e sono contenuti in cereali (frumento, mais, orzo, riso, farro, segale, avena, sorgo, miglio, grano saraceno, amaranto, quinoa, kamut), verdure, frutta, legumi, frutta secca e semi. La nostra principale fonte di carboidrati è costituita dall’amido e dai suoi derivati, quali pane e pasta. L’amido è particolarmente abbondante nelle patate e nei cereali. Anche la cellulosa, che costituisce le parti vegetali comunemente chiamate “fibre”, è un carboidrato, ma il nostro organismo non possiede gli enzimi necessari alla loro digestione e quindi, per noi, non costituisce una fonte energetica (però, ha comunque una grande utilità di cui parlerò successivamente).

Con il processo della digestione, tutti i carboidrati sono trasformati in glucosio e possono andare incontro a tre diversi processi metabolici:

  1. possono essere utilizzati dalle cellule per produrre energia;
  2. possono essere immagazzinati come riserva energetica negli epatociti e nei muscolari scheletrici sotto forma di glicogeno;
  3. possono essere trasformati in grasso e depositati come tale, qualora le scorte di glicogeno siano sature.

Il ruolo dei carboidrati nel nostro organismo è fondamentale. Pur rappresentando solo l’1% in peso della nostra massa corporea, costituiscono la principale fonte energetica del nostro organismo e, in una dieta sana, dovrebbero contribuire per circa il 60% al fabbisogno calorico giornaliero.

I carboidrati hanno principalmente una funzione energetica di tipo immediato, costituendo il “carburante” delle reazioni chimiche di tutto l’organismo ed in particolare di alcuni organi (come il cervello, il fegato e i muscoli). Il solo sistema nervoso centrale necessita di circa 180 grammi di glucosio al giorno per svolgere le proprie funzioni in maniera ottimale. Anche alcune cellule del sangue (globuli rossi) e della midollare del surrene utilizzano esclusivamente glucosio come fonte energetica primaria.

Qualora ve ne fosse bisogno, il nostro organismo può ricavare glucosio a partire dallo scheletro carbonioso di alcuni aminoacidi e dal glicerolo contenuto nei grassi. In condizioni di estrema carenza di glucosio (digiuno prolungato), questo processo porta però alla formazione di sostanze tossiche, i corpi chetonici, che abbassano il pH ematico con gravi conseguenze per l’organismo.

Digestione e assorbimento dei carboidrati

La digestione dei carboidrati inizia in bocca dove gli enzimi della saliva iniziano la scissione dei carboidrati complessi (amido). Nello stomaco l’azione degli enzimi salivari viene interrotta dall’ambiente acido e riprende nell’intestino tenue dove, grazie ai succhi pancreatici (enzima α-amilasi), i polisaccaridi vengono ridotti a monosaccaridi.

I monosaccaridi (fruttosio, glucosio e galattosio) sono assorbiti in piccola parte nello stomaco e nella maggior parte nell’intestino tenue, per opera dei villi intestinali. Da qui vengono riversati nella circolazione sanguigna e, attraverso la vena porta, raggiungono il fegato, dove possono essere direttamente trasformati in glicogeno formando le riserve di glicogeno epatico, oppure essere riversati nella circolazione sanguigna per raggiungere le varie cellule dell’organismo.

Regolazione della glicemia

Per indicare la concentrazione del glucosio nel sangue si usa il termine glicemia. In una persona sana questo parametro oscilla, a digiuno, tra gli 80 ed i 100 mg/dl. Affinché l’individuo sia in salute è fondamentale che la glicemia rimanga relativamente costante durante le 24 ore.

Al termine di un pasto, sono considerati fisiologici valori glicemici intorno ai 130-150 mg/100 ml. E’ invece normale che durante il digiuno prolungato, o in risposta ad uno sforzo fisico intenso, la glicemia scenda a 60-70 mg/dl. Quando la concentrazione di glucosio si riduce ulteriormente, si parla di ipoglicemia, una condizione che si accompagna a sintomi come tremori, palpitazioni, fame intensa, pallore, scialorrea e convulsioni. Quando i livelli glicemici scendono al di sotto dei 20 mg/dl si rischia addirittura il coma e la morte.

L’importanza del glucosio circolante nel sangue è legata all’incapacità dei neuroni di trarre energia da altri substrati energetici, come grassi ed amminoacidi. Segni di sofferenza cerebrale si manifestano già per valori glicemici inferiori a 60 mg/dl e sono responsabili della tipica sintomatologia di cui ho appena parlato.

Se sono stati introdotti nell’organismo una quantità di carboidrati che eccede le necessità energetiche, dopo aver trasformato il glucosio in glicogeno epatico, il fegato converte l’eccesso di zuccheri in tessuto adiposo di riserva. Per questo motivo un’alimentazione povera di grassi e ricca di carboidrati (pasta, pane, cereali e derivati, dolci ecc.) non è efficace nel favorire la riduzione di peso corporeo.

Quando la glicemia aumenta eccessivamente, raggiunto il valore soglia di 180 mg/dl, l’organismo inizia a perdere glucosio con le urine (glicosuria). E’ un efficace meccanismo di difesa dell’organismo, ma è anche un fenomeno pericoloso perché l’urina contenente glucosio attira molta acqua, con conseguente disidratazione corporea. Perciò, in condizioni fisiologiche la glicosuria è uguale a zero.

Il fegato regola la glicemia anche attraverso l’intervento di due ormoni prodotti dal pancreas: insulina e glucagone.

L’insulina è un ormone di natura proteica, prodotto da gruppi di cellule pancreatiche, chiamate cellule β delle isole del  Langerhans che:

  • facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule ed ha pertanto azione ipoglicemizzante (abbassa la glicemia);
  • favorisce l’accumulo di glucosio  sotto forma di glicogeno (glicogenosintesi) a livello epatico;
  • inibisce la degradazione di glicogeno a glucosio (glicogenolisi).

Il glucagone, ormone di natura proteica, sintetizzato dalle cellule α delle isole del Langerhans del pancreas, viene rilasciato in caso di forte calo della glicemia. Infatti, con la sua azione promuove la glicogenolisi a livello epatico, cioè la produzione di glucosio a partire dal glicogeno, depositato nel fegato, per esser immesso nella circolazione sanguigna.

L’indice glicemico

L’indice glicemico (IG) rappresenta la velocità con cui aumenta  la glicemia in seguito all’assunzione di carboidrati. La velocità si esprime in percentuali, prendendo il glucosio come punto di riferimento (100%). Perciò, un indice glicemico pari a 50 indica che l’alimento preso in esame innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio.

L’indice glicemico di un alimento è influenzato, in primo luogo, dalla qualità dei carboidrati: tanto più sono semplici, tanto più l’indice glicemico aumenta.

Tuttavia, il valore ottenuto non dipende solo dalla complessità dei carboidrati: per esempio, l’amido del riso e delle patate ha un indice glicemico superiore a quello di mele e pesche. La frutta e gli ortaggi, infatti, hanno in generale indici glicemici bassi a causa del loro elevato contenuto in fibre.

L’indice glicemico dipende da diversi fattori: dalla prevalenza di amilosio o amilopectina, da eventuali manipolazioni tecnologiche nei cibi, dalla cottura, dalla presenza di fibre e dalla quantità di zucchero presente (un frutto maturo ha un IG maggiore di un frutto acerbo). Infine, l’indice glicemico è influenzato dalle interazioni con grassi e proteine poiché la presenza di questi due macronutrienti rallenta la velocità di assorbimento intestinale.

Ecco perché è più salutare associare ad un pasto ricco di carboidrati, come la pasta, alimenti proteici come la carne o il pesce e/o alimenti ricchi di fibre come la verdura. Paradossalmente, se l’obiettivo è quello di dimagrire è meglio mangiare un piatto di pasta con  una scatoletta di tonno e pomodoro o con del macinato magro, piuttosto che mangiare lo stesso quantitativo di pasta senza condimenti. E i grassi? Aggiungere un cucchiaio di olio d’oliva, oltre a rallentare la successiva comparsa della fame, diminuisce anche l’indice glicemico del pasto.
Anche il rapporto fruttosio-glucosio è importante: un maggior contenuto in fruttosio riduce la velocità di assorbimento dei carboidrati.

Alimenti con un alto IG (70 e più)
glucosio, miele, pane bianco, patate, cereali, cracker, uva, banane, carote, riso.

Alimenti con un moderato IG (56-69)
pane integrale, pasta, mais, arance, cereali integrali, riso brillato.

Alimenti con un basso IG (55 o meno)
fruttosio, yogurt, piselli, mele, pesche, fagioli, noci, riso parboiled, latte.

Relazione tra fibre, grassi, proteine e indice glicemico (IG)

  1. Le fibre idrosolubili  rallentano l’assorbimento di glucosio a livello intestinale. Esse sono pertanto in grado di mantenere la glicemia costante per lunghi periodi.
  2. La digestione di un alimento contenente grassi è rallentata; di conseguenza  i carboidrati vengono assorbiti  più lentamente. A prova di ciò, basta confrontare l’indice glicemico del latte scremato (IG=32) e di quello intero (IG=27).
  3. L’indice glicemico diminuisce se si aggiungono proteine ad un alimento. Le proteine hanno infatti effetti molto simili a quelli di grassi e fibre. Pur avendo un basso indice glicemico, gli alimenti ricchi di proteine presentano un medio indice insulinico.

L’eccesso di carboidrati

Generalmente la dieta dei Paesi industrializzati è molto ricca di carboidrati. In particolare, si fa un largo uso dei carboidrati semplici, cioè di mono e disaccaridi che vengono aggiunti durante la preparazione per dolcificare gli alimenti.

Un eccessivo consumo di zuccheri è correlato a patologie come l’obesità, la carie dentale ed il diabete. Perciò, è preferibile limitare l’utilizzo di carboidrati ad alto indice glicemico preferendo quelli a basso indice glicemico. Inoltre, gli zuccheri semplici (alto IG) entrano in circolo molto velocemente rendendo necessaria un’iperproduzione di insulina che, a lungo andare, può portare ad un declino funzionale delle cellule deputate alla sua produzione (diabete). Il brusco calo di glicemia che ne consegue, oltre ad affaticare il soggetto, rendendolo più stanco e meno concentrato, porta ad una prematura comparsa dello stimolo della fame. Si entra in questo modo in un circolo vizioso che può facilmente condurre all’obesità.

Carenza di carboidrati, le diete iperproteiche

Viste le conseguenze negative di una dieta ad alto contenuto di carboidrati, nell’ultimo decennio sono stati proposti moltissimi modelli alimentari a bassissimo contenuto di glucidi, a vantaggio delle proteine. L’estrema riduzione dei carboidrati non è però priva di effetti collaterali.

L’eccesso di proteine e grassi aumenta il pericolo di ipercolesterolemia, di patologie epatiche e renali e di alcune forme tumorali. Inoltre, in caso di estrema carenza di carboidrati si formano i corpi chetonici (così come avviene nel diabetico non trattato) che acidificano il sangue e possono condurre al coma.

Occorre dunque trovare un giusto equilibrio tra i livelli di assunzione dei vari nutrienti, senza escluderne nessuno a priori. Inoltre, vista la pericolosità sia di un eccesso che di un difetto di carboidrati, la quantità di carboidrati dovrebbe variabile tra il 55 ed il 65% dell’apporto calorico giornaliero. Allo stesso tempo, il consumo di zuccheri semplici non dovrebbe superare il 10-12% dell’energia giornaliera totale.