La conoscenza e l’utilizzazione delle piante officinali, che la natura mette a disposizione, appagano almeno in parte il bisogno di rapportarsi con dolcezza al nostro corpo, esigenza motivata anche dal vivere in una società per molti aspetti innaturale e violenta.
Tra il mal-essere e il ben-essere c’è una fascia intermedia di “piccoli mali” che possono esser trattati con le erbe officinali. Si possono assumere tisane e decotti in attesa dei risultati di esami clinici oppure in appoggio a una terapia prescritta da un medico (ma sempre dietro consiglio di un esperto, come un naturopata o un erborista).
Parlare di erbe medicinali significa parlare di fitoterapia, cioè cura delle malattie con rimedi vegetali. Questa disciplina, che ha le sue radici in una lunga storia di tradizioni popolari e usi magici, oggi è diventata oggetto dell’interesse scientifico da parte di ricercatori e industrie farmaceutiche che vogliono trovare principi attivi efficaci, ma con minori effetti collaterali rispetto ai medicinali tradizionali.
L’uso di erbe medicinali destinate a impieghi curativi risale agli inizi della storia dell’uomo. La scoperta delle proprietà curative delle piante fu, all’inizio, istintiva e casuale, e la conoscenza delle erbe fu in seguito conquistata a prezzo di un’attenta osservazione e anche di tanti avvelenamenti. Gli animali (l’esempio più comune sono i cani e gatti che ricercano la parietaria per disintossicarsi) e l’uomo utilizzarono e utilizzano tuttora piante selvatiche per alleviare o curare i loro malanni.
Proprio per poter usufruire delle loro proprietà, oggi molte le specie selvatiche sono coltivate in orti o appezzamenti di grandi estensioni per l’industria farmaceutica e cosmetica.
- Elementi di una Pianta
- Principi attivi delle piante
- Preparazioni erboristiche
- Sicurezza nell’uso delle piante
- Erbario
Tracce nella storia
Fin dalle sue origini e in ogni civiltà, l’uomo ha cercato di conoscere e di utilizzare la natura, sia per nutrirsi che per migliorare la propria vita.
Le notizie più antiche sull’uso teraupetico delle piante ci arrivano dall’Oriente e, precisamente, dalla Cina e dall’India.
Anche in Occidente, le origini della fitoterapia risalgono a migliaia di anni fa, come testimoniano alcune tavolette di argilla degli Assiro-Babilonesi e la Bibbia in cui, più volte, si fa riferimento alle proprietà curative delle piante. In Egitto, lo studio e l’uso delle piante medicinali era riservato ai sacerdoti; il Papiro di Ebers, documento molto importante, nominava 160 piante ancora presenti nelle farmacopee occidentali moderne.
La cultura greca e latina
Presso questi popoli, l’arte medica era praticata nei templi, dove funzionavano ospizi-ospedali in cui i malati erano curati dai sacerdoti. Il tutto si svolgeva sotto la protezione di divinità e personaggi mitologici: Artemide (Diana) insegnò agli uomini l’uso medicamentoso dell’erba di nome artemisia; Atena (Minerva) fece conoscere la camomilla matricaria; Afrodite (Venere) procurava medicamenti afrodisiaci; Peone sanava gli artritici con la peonia; Circe e Medea manipolavano e somministravano i loro narcotici a base di stramonio, giusquiamo e oppio.
Tra i Greci figurano studiosi di fondamentale importanza come Ippocrate, il padre della medicina, vissuto tra il V e il IV secolo a.C., che classificò per la prima volta, in modo organico, 300 specie di piante medicinali, e Teofrasto, allievo di Aristotele, che pose le basi della botanica moderna con il suo trattato De historia plantarum e che si occupò di uno dei più antichi giardini botanici del mondo istituito ad Atene, intorno al 340 a.C. per volontà dello stesso Aristotele. Va ricordato anche Galeno, vissuto nel II d.C., che elaborò delle formulazioni di medicamenti a base di droghe vegetali, definiti ancor oggi “preparazioni galeniche”.
I primi trattati con carattere di veri studi di farmacoterapia risalgono però all’epoca romana. Fin dal I secolo d.C., a Roma, era pratica comune quella di coltivare orti con piante medicinali. Tra i Romani, furono importanti Dioscoride (I secolo d.C.) che diede un’impronta scientifica allo studio delle sostanze naturali e delle proprietà medicinali delle piante, e Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) dove, con la Naturalis Historia, compilò una vera e propria enciclopedia da cui si possono apprendere le conoscenze della farmacologia degli antichi.
Dopo la caduta dell’Impero Romano, il sapere scientifico venne conservato nei monasteri e approfondito dal mondo arabo. Agli Arabi va attribuito il merito di aver elaborato il primo esempio di farmacopea, cioè un insieme di ricette con dosi e composizioni.
La scuola medica salernitana
Una leggenda racconta che nel IX secolo si incontrarono a Salerno un cristiano, un greco, un ebreo e un arabo, i quali misero insieme il loro sapere e fondarono una scuola di medicina. In realtà, la posizione geografica e i rapporti con la Repubblica di Amalfi offrirono a Salerno la possibilità di assimilare varie correnti di pensiero che, in campo sanitario, si manifestarono con la creazione della celebre Scuola Medica Salernitana, considerata la più importante istituzione medica occidentale del Medioevo e in cui confluirono tutte le differenti correnti del pensiero medico del tempo. A questa scuola, si attibuiscono la scoperta di importanti erbe e la ricerca di farmaci basati sulle proprietà curative dei vegetali. Tra molti trattati pubblicati, è rimasto il famoso Regimen Sanitatis Salernitanum, un poemetto in versi contenente prescrizioni igieniche e consigli per la prevenzione delle malattie.
Nei monasteri medievali
Nel Medioevo, il rapporto dell’uomo con la natura era spesso caratterizzato da superstizioni. Per esempio, si riteneva che le foglie fritte di menta pulicaria, se date ad una donna incinta, preservassero il neonato dalle fratture; oppure che la verbena fosse un ottimo rimedio al mal di testa, ma solo se raccolta nel giorno di San Giovanni (24 giugno).
Il Medioevo, specie nel periodo delle repubbliche marinare, vide fiorire il mercato delle spezie e delle droghe. In particolare, Venezia divenne un punto di riferimento per il commercio di piante officinali, di libri di botanica e trattati di piante curative.
Un ruolo significativo nello sviluppo della botanica fu svolto dagli ordini monastici. In questo periodo lo studio della medicina era compito dei monaci che nei monasteri coltivavano piante medicinali, curavano i malati e dirigevano vere e proprie scuole di medicina. In particolare, la tradizione botanica e farmaceutica fu sviluppata grazie all’istituzione dell’hortus simplicium o hortus medicus, uno spazio all’interno del monastero riservato alla coltivazione delle erbe officinali “semplici”, cioè coltivabili nell’orto (il termine “composti”, invece, si riferiva a erbe combinate fra loro per ottenere le sostanze medicamentose), necessarie per comporre unghenti, decotti e impiastri.
Annessi agli orti, furono costituiti gli armaria pigmentariorum, embrione delle prime farmacie monastiche, dove venivano conservate e seccate le diverse piante officinali. Tra le specie coltivate dai monaci per uso farmaceutico erano sempre presenti: la santoreggia, il fieno greco, il rosmarino, la menta d’acqua, il cumino, il levistico, la salvia, i gigli, il finocchio, la ruta, le rose ei gladioli.
Con l’apporto dell’esperienza medica araba, l’arte farmaceutica dei monasteri progredì notevolmente, arricchendosi del prezioso metodo della distillazione, di cui i monaci fecero grandissimo uso introducendo l’impiego teraupetico delle acque distillate e delle essenze che aprirono la strada alle moderne tecniche farmaceutiche di estrazione dei principi attivi dalle piante.
Dagli orti all’università
Le erbe rappresentano una risorsa alimentare e taraupetica che in passato era gestita dalle donne (herbarie, “donne che conoscono le proprietà curative delle erbe”), le quali si tramandavano sapienza ed esperienza di generazione in generazione, mentre i professionisti in questo settore erano l’erborista, lo speziale (farmacista) e il cerusico (medico).
La botanica cominciò a svilupparsi come vera e propria scienza solo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, grazie alle scoperte geografiche (si scoprirono orti botacini presso gli Atzechi) e all’invenzione della stampa.
Sempre in questo periodo, accando a quelli figurati, cominciarono a circolare i primi erbari secchi che permettevano una più esatta identificazione delle piante.
Dal Cinquecento iniziò la classificazione delle piante su base speculativa e non pratica che permise la fondazione della botanica sistematica. Paracelso (1493-1541), filosofo e medico svizzero, cominciò ad occuparsi di studi chimici; da questo momento la scienza iniziò a basarsi sul principio attivo della pianta da cui si estraevano sostanze utilizzabili separatamente o insieme, e lo speziale divenne un vero e proprio farmacista. Le prime cattedre universitarie di botanica sperimentale furono create nella prima metà del 1500 a Padova e a Bologna. Nello stesso tempo, nacquero i primi orti botanici presso le università di Padova, Pisa, Firenze e Roma.
Il più antico orto botanico di erbe mediche fu il Chelsea Physic Garden, creato a Londra nel 1673.
Dopo il 1700, si sviluppo la fitoterapia moderna, in parallelo con il progredire delle conoscenze nel campo della chimica, della medicina e della botanica. La chimica farmaceutica nascerà nel XIX secolo, preceduta dall’alchimia e dalla ricerca dei rimedi nel regno minerale.
Oggi le conoscenze scientifiche applicate alle piante e lo studio dei loro principi attivi, uniti al sapere tradizionale delle varie culture, permettono una visione globale e più profonda dell’uomo, della salute, della malattia e una piacevole e benefica riscoperta della natura.